Da “Don Luigi Sturzo. Educatore nella politica, educatore della politica“, un breve saggio di Cosimo De Matteis, riportiamo il capitolo conclusivo intitolato Don sturzo profeta inascoltato

DON LUIGI STURZO

 «Delle grandi personalità è stato detto che nascono postume. Lo si può verificare con Luigi Sturzo. I suoi progetti e le sue battaglie furono tutte premature ed anticipatrici – furono, pertanto, battaglie perdute nel momento in cui le combatteva; e furono, tutte, battaglie vinte alcuni decenni dopo. Così fu  per la fondazione del Partito Popolare Italiano, il cui modello era già pienamente intuito e definito nel 1905, ma che solo nel 1919 potrà realizzarsi; così fu per la sua opposizione al fascismo, che venne premiata con l’allontanamento dall’Italia, dove ritornò vincitore ventidue anni dopo; così fu per la sua critica, intransigente e spietata quanto vera e coraggiosa, del regime consociativo, ch’egli conobbe al suo nascere con la deplorata “apertura a sinistra” e con lo scivolamento di quel partito, la DC, che ben poco aveva ereditato da quello fondato da Sturzo, nella palude del consociativismo.»[1].

«Se don Sturzo avesse vinto, oggi l’Italia sarebbe migliore, con una società più giusta, più civile, più responsabile. Ma questo buon risultato non si è realizzato, perché le tre “malabestie” paventate dal grande sacerdote di Caltagirone (la partitocrazia, lo statalismo e lo sperpero del denaro pubblico) non sono state abbattute sul nascere. Anzi, sono state ben nutrite da una classe politica irresponsabile e sprovvista di quella buona cultura di governo contenuta nel pensiero e nell’azione politica di Luigi Sturzo.»[2].

    Questi due giudizi –di Giovanni Palladino e Gianfranco Morra– ci pare che colgano in pieno due aspetti: anzitutto la grande portata dell’opera di Sturzo e, soprattutto, gli accenti profetici presenti nel pensiero del sacerdote di Caltagirone. L’enorme mole del suo lavoro, l’instancabile e limpido operato di don Luigi Sturzo nei suoi quasi novantanni di vita, crediamo di averlo sufficientemente illustrato in queste pagine,  e lo si è fatto con la “lente” specifica di cogliere la valenza educativa. E ci pare di poter concludere che tale afflato educativo è costantemente e coerentemente presente nella vita e nelle opere di Sturzo.

Vorremmo concludere il presente lavoro rilevando quanto di Sturzo è –o può essere considerato- profetico. Le due citazioni d’apertura non lasciano dubbi e anzi lasciano intravedere una affermazione delle intuizioni e previsioni sturziane ancora da realizzarsi pienamente, particolarmente sul piano politico. Del resto è il destino di chi, meglio e più di altri, sa leggere le situazioni, paventarne gli sviluppi, correggere il tiro, individuare soluzioni. Questo è quanto ha fatto Sturzo, fin dagli inizi del suo operato sociale e politico. Lo abbiamo visto durante tutto il presente lavoro, e nella citazione di Palladino sono riprese alcune di quelle situazioni in cui Don Sturzo aveva visto prima di altri. Così per la fondazione del Partito Popolare, laddove egli aveva ben chiaro il programma e l’organizzazione, almeno una decina di anni prima della effettiva concretizzazione. Ma la sua prudenza e soprattutto l’obbedienza alla Chiesa lo fecero attendere ancora. Ma aveva visto giusto.

    Lo stesso può dirsi della sua lettura del fascismo: Sturzo coglie subito nel nascente regime i rischi cui  andava incontro il Paese,  mentre le masse –e non solo esse- applaudivano al Duce, ritenuto addirittura come “l’uomo della Provvidenza”. E non è un caso che lo stesso Mussolini individua in Sturzo un nemico da eliminare al più presto. Anche qui, il giudizio di Sturzo era stato lungimirante, ma da molti egli fu  inascoltato.

     Sono solo due esempi – ma di grande portata- in cui emerge la capacità di Sturzo di cogliere in anticipo e prevedere gli sviluppi di una situazione. Ma, abbiamo visto, spessissimo egli non venne capito. Certo fu facile, al suo ritorno dall’esilio ultra-ventennale, applaudirlo. Ma quanti si ricordarono che Sturzo aveva avversato e combattuto il fascismo fin dal suo primo sorgere?

     Forse la nostra riflessione può apparire di taglio eminentemente politico: Sturzo era solito dire che la buona politica nasce dalla buona cultura e abbiamo già visto il suo costante impegno per una buona cultura, per una educazione che sia autentica e libera che miri alla coscienza. Alla coscienza della persona, delle classi politiche e dirigenti, e –in definitiva- della nazione.

     Quando egli tornò nell’agone politico (come commentatore e critico dai giornali e poi in Parlamento come Senatore a vita) egli fu prodigo di valutazioni, indicazioni, consigli, sempre in modo schietto e limpido. Ma mai come in questa fase egli fu profeta inascoltato.

Sturzo fu un uomo, un politico scomodo e non per il particolare temperamento che egli possedeva (ma –lo ripetiamo- questo giudizio malevolo sul suo presunto brutto carattere è davvero inconsistente, e semmai continua a rivelare l’astio che in tanti –ancora oggi!- covano verso Don Sturzo) quanto per il suo parlare franco, denunciando abusi e storture: « una delle battaglie più accanite che egli combatté fu quella contro la partitocrazia [non è forse in questo campo un autentico profeta?].

La voce vegliante di Don Luigi Sturzo, spinto esclusivamente da un’alta ispirazione morale, si alzò severa. La sua polemica non fu astratta e teorica, ma concreta e pratica; la sua valutazione non fu superficiale e contraddittoria, ma profonda e giusta. Mentre indicava nel sano sviluppo dei partiti una garanzia preziosa per l’avvenire della democrazia, che non può prescindere dalla loro efficienza, ricordava che i partiti devono essere strumenti di educazione civica del cittadino e non già di formazione e consolidamento di oligarchie e cricche personalistiche.

     Mentre chiedeva che si riducesse il potere dei partiti, esigeva nei parlamentari una forza di carattere, una capacità di disinteresse»[3].

    Oltre alla partitocrazia le sue accorate grida furono lanciate per scongiurare le altre due “malabestie” (era solito definirle così) e cioè lo statalismo[4] e lo sperpero di denaro pubblico[5]. Riguardo la lotta allo statalismo (al mito dello Stato che provvede “dalla culla alla tomba”) siamo in chiaro campo economico –oltre che politico-filosofico- e quindi non ci addentriamo. Tuttavia è un fatto che nel corso del Novecento questo totem dello Stato onnipresente ha pervaso praticamente tutti gli stati dell’Occidente ed il triste pianeta sovietico. Si è visto, poi, quanto deficit ha creato nelle finanze delle nazioni, tale da far pensare non tanto e non solo al ricorso alle privatizzazioni (il che, ad onor del vero, ha i suoi rischi) ma ad un ritorno alla Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare alla sussidiarietà.

Sturzo lo aveva detto ed i fatti gli han dato ragione: è fin troppo facile fare l’esempio di Tangentopoli,  sebbene va detto pure che la mitizzata, oramai, “operazione mani pulite” ha degli aspetti oscuri e persino inquietanti, in termini di eccessi e parzialità.

     Il fatto è che l’immoralità politica dilagava e continua a dilagare: Sturzo lo aveva capito al suo albore e coscienziosamente cercava di mettere in guardia da tali rischi la classe politica, particolarmente quella sedicente cattolica: «Sturzo si accorse che il nuovo partito non aveva più l’animazione ideale del vecchio. [cioè il suo Partito Popolare].  Ora un partito non può neppure esistere senza una ideologia, che lo contraddistingue dagli altri e gli attribuisce una identità. Senza una chiara teoria, afferma Sturzo nel solco della filosofia cristiana, non può esserci alcuna prassi efficiente.

Già nel 1924 Sturzo rivendicava il primato delle idee sulla prassi. Riflettendo sulla prassi della Democrazia Cristiana, Sturzo si convinse che gli errori della nuova classe politica guidata dai “professorini” (La Pira, Dossetti,Fanfani, Moro) derivavano da una inconsapevole sudditanza culturale al marxismo, teorizzata anche da altre istituzioni con le quali Sturzo non mancò di polemizzare, come le Acli, i sindacati “cristiani”, la rivista “Aggiornamenti Sociali”(…) Ma furono tutte, quelle di Sturzo, “prediche inutili”, come quelle di Einaudi.

Le tre malebestie, nei decenni successivi alla morte di Sturzo, ingrassano a dismisura e producono alla Prima Repubblica quei disastri, che tutti conosciamo e che Sturzo aveva profetizzato.»[6].

Infine  concludiamo con una profezia che Don Luigi Sturzo fece ai Senatori della Democrazia Cristiana, tratta dal suo ultimo articolo pubblicato su “Il Giornale d’Italia” del 21 luglio 1959, cioè a pochi giorni della sua morte. E’ davvero impressionante come Don Sturzo “vede” lucidamente –quaranta anni prima!- quella che sarebbe stata la fine di quel partito allora florido ed invincibile (apparentemente):

     «Guardate bene ai pericoli delle correnti organizzate in seno alla DC; si comincia con le divisioni ideologiche, si passa alle divisioni personali, si finisce con la frantumazione del partito».

Poteva essere più chiaro di così?

Proprio vero, Sturzo è stato un profeta.  Purtroppo inascoltato.

[1]      G. MORRA,  Sturzo profeta della seconda repubblica, C.I.S.S., Roma, 1999, p.5

[2]    G. PALLADINO, Prefazione a L. STURZO, La libertà: i suoi amici e i suoi nemici, (a cura di M.BALDINI), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001, p.5

[3]       P. STELLA, Luigi Sturzo sacerdote, Pegaso Editore, Caltagirone, 2000 (IV edizione), p.198

[4]      Luigi Sturzo, naturalmente non ha niente contro lo Stato, che costituisce l’organizzazione giuridica della società. Ma una cosa è lo Stato, altra cosa è lo statalismo. Del resto Sturzo ha avuto la precisa consapevolezza che statalismo e partitocrazia erano strettamente congiunte, che il primo (lo statalismo) era lo strumento della seconda (la partitocrazia): l’esempio più evidente  e sconvolgente della associazione di  statalismo e partitocrazia si può trovare in quel ministero, che Sturzo combatté sin dal suo nascere: quello delle Partecipazioni Statali. Ciò che il Ministero delle Partecipazioni Statali rivela è che la classe partitocratica ha oramai tolto del tutto quei limiti all’intervento statale senza i quali non può esservi garanzia di libertà e di efficienza.

[5]   Ecco quanto scrive acutamente Gianfranco Morra: « Dalle nozze dello statalismo e della partitocrazia è nata la terza “malabestia” : lo sperpero del denaro pubblico. Va subito detto che la parola “sperpero” è un eufemismo. Sturzo aveva capito bene quanto grande fosse la corruzione dell’Italia democristiana (…) La nuova classe politica democristiana aveva perduto la forte moralità della vecchia classe politica popolare (fatte tutte le debite eccezioni, a salvaguardia della onestà di alcuni). Sturzo collegava la crisi del popolarismo alla separazione tra morale e politica, nel duplice senso di una politica indipendente dall’etica e di politici che agiscono senza tenere conto dei principi morali. C’è, dunque, una doppia moralità.(…). Per superare questa duplice immoralità, comprende Sturzo, sarebbe necessario soprattutto un mutamento interiore dei politici. Ma non meno necessario è un insieme di regole che renda difficile lo “sperpero”.».G. MORRA,Sturzo profeta della seconda repubblica, Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo (C.I.S.S), Roma, 1999, p.16.

[6]    G. MORRA, cit, pp. 18-19.  In riferimento alla sudditanza culturale dei cattolici (meglio: di una parte del mondo cattolico) nei confronti del marxismo vi è tutta una letteratura che l’ha rilevata, descritta, criticata ecc. Noi qui ci limitiamo a citare due autori – lo scrittore Eugenio Corti e il filosofo Augusto Del Noce, anche essi, come Sturzo, profeti inascoltati- che con la loro lucida analisi hanno denunciato quel complesso di inferiorità che attanaglia certo mondo cattolico progressista. Si vedano, ad esempio, E. CORTI, Il fumo nel tempio, Ares, Milano, 2001 e A. DEL NOCE, I cattolici e il progressismo, Leonardo, Milano, 1994.

TESTATA Popolari Liberali Sturziani

 

 

 

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